L’osservatorio del Politecnico di Milano deputato al monitoraggio dell’innovazione digitale per la piccola e media impresa ci mostra una fotografia nel 2022 con i seguenti dettagli:
Il 61% delle organizzazioni con fatturato maggiore di 50 milioni considera la digitalizzazione un valore aggiunto per il futuro aziendale
Nel caso della piccola impresa solo il 35% considera la digitalizzazione come valore aggiunto per la crescita e i costi di implementazione di tecnologie digitali ostacolano la diffusione.
Il 60% delle imprese colloca meno di 10.000 euro l’anno in strumenti digitali
L’analisi dell’attuale situazione è trasparente, ed il campione si basa su 250.000 imprese che cubano il 40% del fatturato nazionale e assorbono circa il 30% della forza lavoro. Numeri straordinari se si pensa che con 1/3 della forza lavoro si produca per un valore che è di poco meno della metà.
Altrettanto importante la diversificazione dei due segmenti in PMI large e small ad indicare a seconda dei livelli di fatturato, il cambio di pensiero e l’approccio, come se ad un certo punto, sia la stessa dimensione aziendale ad obbligarti a cambiare rotta a prescindere da un contesto di reticenza verso il digitale.
Non sono mancate certo le domande su dove debbano ricadere le responsabilià relative ai mancati investimenti e alla sfiducia verso la possibilità di acquisire metodi innovativi in azienda. Vera l’affermazione classica sulla piccola media impresa italiana che concentra molto i propri investimenti su prodotto e servizi, ma altrettanto vero un certo immobilismo da parte di associazioni di categoria e pubblica amministrazione come poco stimolanti nell’invogliare le imprese con adeguate politiche fiscali e di formazione per affrontare il passo verso il cambiamento.
“Il nuovo Osservatorio di American Express e Bva Doxa sulla digitalizzazione delle pmi italiane evidenzia come, dopo la spinta degli ultimi 2 anni, sia ora necessario fornire alle piccole e medie imprese un ulteriore supporto per completare l’evoluzione che hanno iniziato. Ecco alcune evidenze emerse. Accanto alla massiccia adozione dello smart working (54% delle aziende), il 52% delle aziende ha rivisto anche i processi interni finalizzati alla digital transformation e il 98% ha almeno un canale di comunicazione digitale come un sito o un’app, ma solo il 17% fa ricorso al commercio elettronico. Il 60% delle imprese ha dichiarato di allocare meno di 10.000 euro l’anno per le dotazioni digitali (escludendo le spese per l’hardware), da 10.000 a 20.000 euro nel 30% dei casi. Il 70% di questi investimenti in tecnologia vengono però dedicati alla gestione digitalizzata dei documenti e ai social media per il 62%, quindi in generale a voci “necessarie” più che strategiche”
La nascita di Enti a supporto dell’impresa.
La pianificazione strutturata, modalità ancora poco diffusa va sostenuta con ausili di personale interno o divesrsamente esterno. Emerge spesso la volontà di acquisire nuove soluzioni in concomitanza a problemi temporanei. Ma nel desiderio di consolidare il proprio business e di vederlo crescere oltre alle persone sono necessarie le tecnologie.
In Italia, sono nate 3 nuove figure a cui potersi rivolgere per fare i primi passi verso un mondo che a tratti ancora spaventa o diversamente che viene visto con molto scetticismo.
I Digital Hub innovation, veri e propri promotori di servizi digitali strategici per l’impresa.
I Punti Impresa digitale presso le camere di commercio delle province piu grandi, nati con lo scopo di sensibilizzare le imprese attraverso corsi di formazione e come guida alla partecipazione di bandi digitali.
Gli innovation manager, figure professionali introdotte con la Legge di bilancio del 2019. L’Im è un professionista coinvolto dall’impresa collocandosi tra l’azienda stessa gli enti pubblici, i digital hub o i punti impresa.
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Foto: Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano
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